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Il molaggio selettivo (I parte)

Il molaggio selettivo

Il molaggio selettivo in Odontoiatria

Premessa importante. Lo scopo di questo scritto è un discorso più di metodo che di merito. I negazionisti dovrebbero conoscere bene la procedura, e provarla se capaci, prima di rinnegarne l’efficacia. La letteratura odierna è una babele di opinioni, donde ciascuno può trovare le citazioni buone per i suoi pregiudizi, come fa chi estrae dai libri sapienziali il versetto o la sura buona per la sua devozione. Non esistono autori al di sopra di ogni sospetto, sia gli ignoti di oggi che i notissimi di ieri. La grande letteratura si rende magistrale sulla bocca aperta del paziente, dove il geroglifico delle cuspidi diventa sillabo. Coloro che rifiutano il molaggio selettivo come protocollo clinico si comportano come quelli che scrivono senza avere letto. Il genio sorgivo non esiste. Questo scritto è un indirizzo verso la verità vera, redatto come un dialogo, con i comodi manierismi di un dialogo vivo, copiando con devoto rispetto lo stile dei grandissimi classici. Questo scritto ha una sua verità dialettica ma sempre relativistica, in candida divergenza con la verità dogmatica, presentata come la Verità Assoluta Scolpita Nel Tempo. 

1. Proust: “Tutto quello che noi sappiamo, non è nostro”. Ultimamente si è diffusa l’idea che il molaggio selettivo sia cosa inutile e sempre perniciosa, e non si capisce se sia da evitare anche nella ricostruzione protesica, come se il laboratorio fosse sempre capace di rendere un manufatto perfetto; che se così fosse, la professione del dentista sarebbe noiosissima. Molte altre volte, senza che la mano sinistra del dentista si intrometta, la natura fa tutto da sola e, insofferente di una morfologia nativa sgradita, si ingegna a rimediare con un molaggio selettivo autogestito. L’implacabile motore muscolare della faccia inventa un tic o ticchio motorio, cioè un disordine del controllo muscolare e posturale come sono intesi quei movimenti stereotipati, senza scopo apparente, che il soggetto esegue per un automatismo involontario e perentorio. Questo modello di risposta non è univoco, e ci conduce a distinguere – con idee chiare e distinte - due modelli classici di mala occlusione: la macro e la micro mala occlusione.Macromalaocclusione: è, come prima scelta, di interesse ortodontico e comporta una risposta di tipo inibitorio del sistema neuromuscolare. La lingua degli adulti tradisce un’impronta a stampo negativo contro i denti doppi, che ci ricorda come i pazienti abbiano inventato la placca di svincolo prima dei dentisti. Alla osservazione del viso si nota una curiosa immobilità dei muscoli mimici, come per un passaggio di botulino. Questa impassibilità mimica compensata dalla intensa espressività dello sguardo, trasferita nelle arti dello spettacolo, diventa la fortuna professionale degli attori comici.Micromalaocclusione: comporta una risposta di tipo eccitatore del sistema neuromuscolare, sopratutto perché, senza escludere una storia naturale, una parte di questi problemi è secondaria a imprese protesiche sfortunate. Alla osservazione minuziosa del tavolato occlusale si notano usure in batteria, che - con idee chiare e distinte - possono essere classificate in due categorie: A. usure di antica data, che hanno il riflesso di taglio a iamante sotto luce incidente, e che configurano la rotaia di un sentiero stereotipato; B. usure di datazione recente e di più incerta lettura perché a margini sfumati, tipicamente sui canini superiori, che depongono per un disturbo iniziale con traiettoria non stabilizzata di attività bruxista. Nei bruxisti di antico vizio il volto si presenta asimmetrico, con forse qualche guizzo spastico sul temporale anteriore o un lampo sul massetere anteriore. Nelle arti dello spettacolo un viso asimmetrico è una risorsa in più per gli attori drammatici, che possono modulare due registri diversi per interpretare le passioni della vita. In un angolo della nostra mente speculativa dobbiamo riservare un posto d’onore alle interferenzs bilancianti giovaniliaiatrogene, cioè native. Tipicamente, negli anni dell’eruzione del terzo molare, s’instaura questo tic motorio accanito che stampa sul viso dell’adolescente lo stigma del bruxista a mascella quadrata, come la mascella del marine. In questi soggetti l’asse terminale di cardine mantiene la posizione strutturale, e l’anatomia dei giunti articolari sopravvive illesa; e questa coincidenza è cosa giusta e buona, finché regge. 

2. L’interferenza bilanciante è una mala occlusione grave, che deve essere trattata in qualche modo, pena la distruzione rapida delle lame cuspidali. La dentatura naturale è un valore naturale (tautologia logica), inimitabile da qualsiasi struttura protesica di altissima classe, e la difesa di questo valore è il massimo servizio che il dentista possa rendere alle persone che si affidano. Tutti i denti dovrebbero durare più del corpo, e con questo principio irremissibile si deve decidere cosa fare. La scelta tra un’azione omissiva e un’azione commissiva va studiata in una ragionevole prospettiva temporale. 

3. Azione omissiva. La storia naturale della malattia occlusale esclude una remissione spontanea. La fatale decadenza può essere rallentata da una placca di svincolo notturna, che almeno nel sonno impedisca ai denti di masticarsi tra loro. Perseguendo una situazione di stallo come miglior risultato, con la necessità di manutenére la placca, paziente e dentista saranno sodali fino a che morte non li separi. Non succede mai. Per tutti i pazienti la fede vacilla dopo qualche tempo, il carisma del dentista si logora, e la placca va alle ortiche. Gli impazienti si affilieranno a un dentista più amichevole secondo loro, perché la natura umana porta a credere più facilmente in ciò che si spera. La storia naturale di un bruxismo è ricca di incidenti a sorpresa: un’otturazione che fallisce, e una corona che si buca, e la incresciosa frattura di un dente sano sono gli effetti collaterali di un processo di invecchiamento accelerato della dentatura. Il dentista dovrebbe confrontare l’età anagrafica civile con l’età dentale apparente, per fare qualche previsione sul futuro che lo attende. 

4. Azione commissiva. Perché il molaggio selettivo va fatto? Perché se non lo fa il dentista, lo farà il paziente, che infallibilmente lo farà aselettivo. Quando abbiamo un’irritazione neuro-muscolare di reazione, s’inaugurerà questo tic motorio, a traiettoria fissa e a corsa breve, di una lama cuspidale contro un piano inclinato con lo scopo, con consumazione per attrito radente, di rettificare la morfologia insopportabile. Diversamente dalle macchine utensili industriali, che eseguono rettifiche con metalli a durezza scalare, nella bocca c’è un materiale biologico a durezza unica, sia sulla lama sia sul piano inclinato da correggere. Essendo inevitabile che la lama si usuri prima del piano inclinato, avremo questo gramo risultato che andremo a chiamare “molaggio aselettivo”. Una lama cuspidale, invecchiata precocemente, fallisce nella sua ragione primaria, che sarebbe non di tagliare ma di sostenere lo stop attivo di centrica. Purtroppo anche le lame di riserva, in regime d’instabilità, si contagiano del vizio assurdo che, sconfitto il primo equilibrio virtuoso, accelera progressivamente verso la spirale dello sfascio occlusale. Un tic facciale non è mai fine a se stesso, e ha effetti collaterali. Immaginiamo una macchina occlusale composto solo da due coppie di molari, dove la coppia di un lato ha una traiettoria di lavoro che costringe ad una collisione reciproca la coppia opposta, simultaneamente oziante, e viceversa. L’eccitazione funzionale di un gruppo muscolare laterale (che guida per tranciare il cibo interposto) provoca l’eccitazione difensiva sull’altro lato (che dovrebbe seguire passivo e senza carico, e invece collide), inducendo un percorso fatale verso un ipertono stabile, anche senza bruxismo immediato. Questi meccanismi di ipertono annullano il sovrano equilibrio della innervazione reciproca e sono il letto ideale di tic seriali (movimenti brevi senza finalità apparente), come vengono descritti anche in altri distretti della macchina umana, in risposta ad una qualsiasi condizione costrittiva. La sindrome “delle gambe senza riposo” è un altro rompicapo eziologico, non riconducibile alle malefatte dei dentisti, almeno al momento che questa nota viene scritta. 

5. Proust: “Tutto quello che noi sappiamo, non è nostro”. Domanda: se un tic motorio si accende per una consecuzione viziosa, dove sta il peccato originale? Risposta: Il motore immobile non è necessariamente in un difetto anatomico, ma comunemente è in un difetto posizionale. Niles F. Guichet, da Anaheim, California, ha ripubblicato nell’estate del 1970 un testo breve e conciso di scuola gnatologica. L’iconografia illustra come la forma giusta ma nel posto sbagliato diventa una forma sbagliata dal punto di vista funzionale. Cinquanta anni prima Edward Hartley Angle (1855–1930) aveva già scritto che c’è un solo posto nel cranio dove la forma e la posizione di un dente ritornano armonici dentro un campo occlusale organizzato (fig.n.1). 

6. Nella mente collettiva dei dentisti ricorre la seguente domanda: perché non possiamo sostituire il molaggio selettivo con l’ortodonzia? Risposta: Non si deve confondere il plausibile con il possibile. Per un paradosso logico, un micro movimento ortodontico è un macro movimento gnatologico. Il lettore si abitui a considerare il molaggio selettivo come un’operazione minimale, come si vedrà nelle istruzioni per l’uso, che comportano una grande raffinatezza mentale e manuale, per neutralizzare anche una minuta interferenza, eppure riconosciuta come motivante una irritazione neuro-muscolare. L’idea della ortodonzia come rimedio sovrano funziona capovolta, richiamando il molaggio selettivo a complemento eventuale di un trattamento ortodontico. Limiti. Riformuliamo bene i limiti del molaggio selettivo. Primo limite: consente limitate correzioni. Secondo limite: la correzione è possibile solo in via sottrattiva. Entro queste condizioni, ci sono occasioni dove il molaggio selettivo sottrattivo non conclude, e così andiamo a introdurre un concetto sequenziale: il molaggio selettivo additivo, come discuteremo in seguito. 

7. Veniamo ora al punto alto del discorso, un’idea sulla quale il lettore è pregato di fermare l’attenzione e la memoria. Diventa una grave imprudenza l’esecuzione di un molaggio selettivo (salvo un aggiustamento protesico su bocca ferma), senza rifasare l’asse terminale di cardine, e a questo scopo si deve operare sotto la copertura di un interruttore di contatto. Si riconoscono due tipologie d’interruttori:A. Le placche superiori estese, di svincolo o di vincolo. B. Le placche a parziali solo superiori, miniaturizzate fino alla morfologia di un elemento a riscontro puntiforme, che si chiama jig, molto importante perchè funziona come interruttore di ultima istanza (vedi parte terza).

8. Placche superiori estese a copertura totale. In principio ci fu l’Hawley Bite Plane (1919), dal nome del dottor Charles Hawley, che costruì una placca in vulcanite come una protesi totale superiore senza i denti, con un grosso filo inox sopra l’equatore dei denti anteriori per dare la ritenzione di un gancio continuo. Nell’area retro incisiva il nostro lasciava un tacco piano per impattare gli antagonisti, per correggere il morso profondo. Il motore della macchina erano i muscoli del paziente, che chiudeva appeso ai denti anteriori. In quel tempo un inventore europeo, il dottor Alfredo Gysi (1865-1957), immaginò una macchina a micro contatto, di una sola punta scrivente contro un piatto, per centrare la bocca nei pazienti estremi, quelli da protesi totale. Se vogliamo onorare il merito, il primo jig sarebbe stato inventato dal maestro Gysi nel 1910. La placca a copertura totale superiore entrò nella cultura collettiva dei dentisti nella seconda metà del secolo, con molte varianti di fantasia. Attualmente questa placca viene fatta in plastica trasparente, dovrebbe essere indossata notte e giorno, ma dismessa nelle ore difficili, può essere modificata in modo additivo o sottrattivo, e funziona molto bene come terapia del dolore articolare. Esistono due varianti concettuali di placca superiore. Per un ortodontista serve una architettura a piano inclinato per sganciarsi da una risega dentale. Per la mente di un protesista la placca è un piano di svincolo per accecare una programmazione occlusale. Solo in questo secondo modello si fondono l’uso diagnostico, e l’uso terapeutico. E’ diventata popolarissima perché non ha mai fatto male a nessuno. La placca è un interruttore di contatto. La placca ha un peccato originale: rialza il morso. Il rialzo del morso è un rischio calcolato anche nelle bocche sane. La placca dovrebbe risultare il più sottile possibile, stabile e univoca. Appena applicata, bisogna registrare i contatti con la carta di articolazione bella spessa, e, dove evidente, fare un adattamento tra piano di plastica e i denti antagonisti. (Questo adattamento va fatto solo a spese della plastica, salvo casi remotissimi.) Dunque si mette e si toglie la placca dalla bocca e con il fresone si pareggia il precontatto segnato dalla carta. Dobbiamo memorizzare la topografia, e aggiustare la placca fino a che la carta arrivi a distribuire i segni di contatto su tutta la platea occlusale. Questa impresa si chiama preparazione al “molaggio selettivo” su una placca di svincolo, che ora andiamo a descrivere come l’esercizio numero uno di chi vuole fare presto e bene. 

9. Strumenti. Sono semplicissimi. Occorrono due pinzette a bandiera, o di Miller, con due nastri di diversi colori, come il rosso e il blu. I nastri marca Hanel a 12 micron in doppio strato lucido e opaco sono buoni, senza esclusione di marche migliori. Si marca con il rosso la dinamica, e si sovrascrive con il blu la centrica, senza perdite di tempo. Infine una pinza inox di Klemmer 14 cm montata con una strisciolina di mylar, che si chiama shimstock, a superficie lucida e dallo spessore di soli 8 micron. Come comodi accessori, una provvista di garze 10x10 per asciugare, e una matita di grafite grassa (fig.n.2). Incominciamo a fare il molaggio selettivo vero. La placca detersa ritornerà in bocca riconfermata univoca. Ora proponiamo una chiusura gentilmente guidata, interponendo la bandiera rossa di carta di articolazione Hanel a doppio strato (12 x 2) da 24 micron, e facciamo battere rapidamente sulle tre sezioni dell’arco occlusale. Una precauzione importante è quella di procedere per colpi leggeri e veloci, e di evitare le battute incerte. Uscirà adesso una prima mappatura, che ci farà vedere dove possono esserci i 6 contatti, e su questa platea andremo a distinguere i falsi positivi dai veri positivi. Questa cruciale differenza la fa la strisciolina dello shimstock, (8 micron) che spostata passo passo, e poi a bocca chiusa e ferma, verrà trattenuta solo dai punti di vero contatto, che verranno segnati con la matita grassa. Saranno abbassati i contatti veri, per pareggiare il livello fino ad una platea di contatti tutti positivi veri. S’intende che il nastro deve segnare prima la sede del contatto, mentre lo shimstock confermerà a posteriori la sussistenza di un contatto positivo vero. Si possono avere anche dei falsi negativi, nei punti dove lo shimstock trattiene, ma la carta non registra, e anche qui fa fede lo shimstock. Nella mente dell’operatore deve scattare l’automatismo di un riflesso condizionato, che lo shimstock non mente su un contatto vero e la carta non deve tradire e segnare solo la sede del contatto vero. Nel caso dove lo shimstock trattenga mentre la carta non segna (falso negativo) si tratta di un banalità procedurale. I denti vanno sgrassati della mucina con una soluzione alcolica, asciugati con la garza e la procedura ripetuta. Nei casi più ostici, il battente occlusale dovrebbe essere rapidamente mordenzato con acido acetico a bassa concentrazione (codex E260), poi asciugato, e la carta ripassata. Dove noi riconosciamo un contatto (shimstock) senza una posizione (carta), il molaggio selettivo è impossibile. 

La carta Hanel marca la sede ma non garantisce il contatto positivo Lo shimstock deve confermare sempre il contatto positivo nella stessa sede Contatto positivo vero: la carta segna e lo shimstock trattiene Contatto positivo falso: la carta segna e lo shimstock non trattiene Contatto negativo vero:la carta non segna e lo shimstock non trattiene Contatto negativo falso: la carta non segna e lo shimstock trattiene.

Questo molaggio selettivo (tra la placca superiore di plastica e la dentatura inferiore) è impresa facile perché la placca possiamo gestirla fuori dalla bocca, con un fresone da laboratorio, livellando l’area di ritocco per evitare di lasciare una fossa d’invito nella quale fare sedere la cuspide corrispondente. Questa raccomandazione vale solo per chi ha in pectore un progetto di placca di svincolo. (Altrimenti uscirebbe una placca di vincolo con chiave di fermo, come vedremo in seguito). Restando nel tema centrale, lo scopo ultimo del processo suggerito è che l’ingranaggio mandibolare debba girare in folle, senza alcuna marcia inserita. Questo molaggio selettivo diventa molto meno facile se oltre alla triangolazione di appoggio, pretenderemo per il paziente il conforto della platea estesa a tutti i denti inferiori. Secondo questo disegno mentale il dentista deve calibrare la pressione del trapano sulla plastica e ripetere la registrazione con feroce pazienza fino a che, almeno nelle bocche a platea livellata, almeno sette su otto denti doppi facciano contatto positivo contro la placca insieme a due denti incisivi inferiori. Questo risultato deve essere compatibile con il minimo spessore di rialzo, perché la dimensione verticale disponibile non venga consumata tutta, e a questo scopo il dentista controllerà in itinere lo spessore residuo con uno spessimetro a divisione decimale. Alla fine la placca andrà leggermente levigata, ma mai finita a specchio. Una mandibola dentata, seduta su una superficie di pattinaggio, potrebbe accendere un ipertono posturale. La placca funzionerà come interruttore di contatto se ben gestita dal dentista, che non demanderà altrove l’incarico del prodotto finito, come d’uso per le placche da tasca. 7 Dopo qualche minuto di pausa, con la placca riconfermata, il paziente potrà essere dimesso. La placca deve essere indossata tassativamente la notte, e di giorno almeno per le ore socialmente meno impegnative. Sarebbe crudele pretendere che il soggetto consumi i pasti masticando sulla placca. Il paziente va rivisto dopo cinque giorni, tempo medio, e può accadere qualcosa di strano: che la mappatura cambi, e si siano perduti alcuni contatti positivi, quelli che noi sapevamo essere veri positivi. Una ipotesi di cosa è accaduto la lasciamo alla fantasia del lettore, il quale – se molto determinato – potrebbe munirsi di una macchina fotografica a basso prezzo per fotografare la placca segnata dalle mappature Hanel, la primitiva e la successiva, e trasportare le due letture sullo schermo del computer. La differenza tra le due letture è come un documento notarile. Non è da considerare atto dovuto il ricorso immediato al trapano per una correzione di mappa, ma è cruciale estrarre un aggiornamento anamnestico, chiedendo come va la bocca, come va la cefalea e come va il tono muscolare, se è diminuito l’impulso a stringere e, soprattutto se è migliorata la qualità del sonno. Infine occorrerà fare un test ai pazienti troppo ottimisti, e si chiederà loro di aprire la bocca di scatto: l’apertura aumentata è da vedere come cosa buona e giusta per valutare un decorso di malattia che ha messo anni per instaurarsi e che invece, con l’ottimismo della volontà, si vorrebbe guarire in pochi giorni. Regola aurea: se all’inizio di una terapia un paziente migliora, dopo andrà sempre meglio; se all’inizio peggiora, dopo andrà sempre peggio, senza un cambio di strategia. Una buona placca è una risorsa preziosa, come strumento diagnostico e terapeutico. Funzionando da interruttore di contatto, tiene l’ingranaggio dentale in folle per qualche settimana, con sollievo di dolori e tensioni intrattabili se non con palliativi per via farmacologica (Clonazepam Roche, una benzodiazepina). Non andrebbe lasciata molto tempo, cioè mesi, senza una strategia d’uscita. Con modifiche minimali una placca permissiva può diventare direttiva, fermando in una posizione di prova una serie cuspidale martoriata dalla guerra occlusale. Il lettore curioso della verità ultima che non esiste, liberi la fantasia creativa, e mobiliti le sue risorse intellettuali latenti. 

10. Proust: “Tutto quello che noi sappiamo, non è nostro”. Esiste un altro genere di placca, la placca segmentale, a spot anteriore. Si riconobbero una cinquantina di inventori, nel secolo scorso, tra i quali due grandi italiani oggi scomparsi. Più del Bite Plane di Hawley, il massimo della notorietà arrise al così detto “jig di Lucia”, sul quale molto si parla per sentito dire, e che funziona come un deprogrammatore veloce con punto di stop sulla linea di simmetria mediana anteriore. Il maestro Victor Lucia era figlio della Magna Grecia, cittadino americano di seconda generazione, professore a Philadelfia e poi con private office a New York, 640 Fifth Avenue, illustre sodale della grande scuola gnatologica e autore del libro della sua vita, “Modern Gnathological Concepts”, 610 pagine fitte di pensiero, un libro da capezzale. Questo signore nel luglio del 1978 andò al “Second International Prosthodontic Congress Held in Las Vegas, Nevada e, davanti ad un “parterre de rois”, disse parole sgradite al gran maestro Henry Goldmann, con il seguito di un drammatico dibattito, come da verbale redatto dal giovane Frank Celenza. Il nostro disse due cose rivoluzionarie: che un trattamento occlusale non vale meno di un trattamento parodontale, e che l’occlusione registrata con il jig vale più di una registrazione pantografica o assiografica. La platea delle talpe sapienti trasse la deduzione implicita: 8 che la gnatologia era morta. Infatti la gnatologia strumentale pantografica morì quel giorno, ma la gnatologia come rivoluzione culturale rimane imperitura. Non essendo questo il momento per raccontare la favolosa avventura dell’odontoiatria nel grande secolo, il lettore metta a fuoco una raccomandazione importante, che lo strumento del jig ha grandi potenzialità, se in mani esperte. Dunque il jig è un interruttore di contatto, con la speciale notazione di alzare il morso al minimo possibile. Questo macchina semplice, messa sul vertice di un tripode, funziona come un amplificatore di potenza o – se si capisce meglio - con l’accelerazione di una leva finanziaria. Il jig, tempo dieci minuti, dà più informazione di una placca portata per una settimana. La prova. Il jig consegue una edentulia diagnostica immediata. Quando l’ingranaggio dei denti posteriori gira in folle, le interferenze deflettive posteriori vanno in fuori gioco, e prontamente si spegne l’arco riflesso che legge queste interferenze occlusali come spine irritative. Tanto basta per guadagnare una pace muscolare immediata, come prova soggettiva. La prova oggettiva altrettanto immediata è che la massima apertura s’incrementa, quasi sempre moltissimo e immediatamente. La controprova. Demoliamo il jig (impatto contro il piatto retro incisivo) e ripristiniamo lo “status quo” (impatto contro la dentatura naturale). Non subito, ma subito dopo la prima deglutizione di prova, l’arco riflesso si riaccende restaurando l’ipertono difensivo contro la morfologia deforme. Perché? Risposta: perché il sistema neuro-muscolare recupera immediatamente il suo antico vizio, di usare la mandibola come una leva che prende fulcro sulla interferenza, o scorrendo come lima (bruxismo dinamico) o con pressione isometrica pura (bruxismo statico). La macchina bruxante quando riparte recupera subito il suo fulcro di leva, e costringerà fuori asse i capi condilari secondo le leggi di geometria delle leve, se non riuscirà a spianare prima la stessa interferenza. Stiamo discutendo di micro movimenti non percettibili dall’osservatore, eppure drammaticamente vissuti come destabilizzanti dal sistema neuromuscolare del soggetto. Solo il jig, provando e riprovando con spirito galileiano, è un magnifico strumento di “intelligence”. Il jig riproduce in bocca il contatto tripodale come si vede negli articolatori che hanno il puntale anteriore di fabbrica. Il primo materiale usato in bocca fu la ceralacca dei sigilli postali, poi venduta nella scatola del signor Kerr. Oggi il jig si fa perfettamente solo con la plastica, acrilica o composita. Sotto jig, i condili possono sedere nel loro alloggiamento naturale, se distratti, ma il dentista non può saperlo perché la registrazione della configurazione occlusale verticale è impedita dal rialzo diagnostico. Si può aggirare Il problema con una registrazione del morso su una chiave monoblocco, che copra tutta la platea occlusale e contorni il jig lasciato in situ. Il materiale non dovrebbe essere la cera, ma un elastomero di sintesi come il silicone per addizione. Per diverse ragioni tecniche che porterebbero il discorso fuori tema, l’elastomero ad iniezione è molto meglio della cera. Con questa chiave posizionale, si possono prendere due modelli della dentatura colati in gesso duro e stagionati almeno mezza giornata e trasferire il tutto su qualsiasi articolatore economico. Aprendo l’articolatore e liberando i denti dalla chiave si possono confrontare i modelli in occlusione diagnostica. Una sorpresa intrigante potrebbe essere la identificazione di due contatti prematuri su una coppia di denti doppi. Possiamo essere sicuri di cosa andiamo a trovare, perché adesso abbiamo gli strumenti giusti, e abbiamo due 9 modelli in gesso messi su articolatore con le camme di registro bloccate (significa: inattive), e il nastro Hanel e la striscia shimstock. Studiando sui modelli di gesso possiamo invertire la procedura: prima usiamo la striscia di shimstock e annotiamo un contatto positivo vero, e dopo con la carta colorata andiamo a segnare la sede del contatto positivo vero. Questa procedura va tenuta di riserva nei momenti di disperazione diagnostica: è faticosissima se ripetuta più volte, ma straordinariamente attendibile. Obbliga a fare un passo alla volta, ma risulta praticamente esente da rischi. 

Belle parole. Naturalmente si potrebbe eccepire che uno scostamento della dimensione verticale introduce un errore di posizionamento (per asse verticale e non per arco di cerchio) che dovrebbe essere emendato da una registrazione dell’asse cerniera (o asse terminale di cardine) e di un trasporto con arco facciale (detto arco di trasferimento). Al lettore non deve sfuggire la misura dello scostamento, che un autore francese si è divertito a calcolare. Abbiamo una formula matematica pronta: per un raggio vettore di 100 millimetri con origine dall’asse di cardine esatto e secondo terminale tangente la cuspide disto-vestibolare di un sesto inferiore, entro un raggio di deriva di 5 millimetri dal punto di origine, “si produce uno scostamento massimo sulla angolazione cuspidale pari a 4°29’24” e del suo livello di soli 0,23 mm.”. (fig. n.3) La precisione che serve al dentista non è assoluto numerico, ma un valore clinico sufficiente. Il maestro Rex Inghram disse in una domenica di sole: “Se butto un ago dal ponte di Brooklin, il ponte si muove.” Tutti possono controllare.'}"